Dal Caspio al Tirreno via Baltico.

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Di Patrizio Barbirotto, Studente e Viaggiatore.
Presto il suo sito on line: www.aprounapaginaacaso.com

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Premessa:
Fine 2007: viene fuori la possibilità di una borsa di studio nel Caucaso o in Asia centrale. La possibilità mi affascina, anche perchè potrei finalmente percorrere la Via della Seta, quasi come Corto Maltese da Venezia a Samarcanda, anche se questo probabilmente può voler dire rimandare la laurea di un anno (nello stesso periodo prende corpo l’idea Shanghai). L’esperienza che si prospetta però vale l’anno e faccio richiesta. Alla fine vengo scelto per andare in scambio all’Università Statale della città Astrakhan’, sul Volga a pochi chilometri dal Caspio. Il viaggio verso l’Asia sfuma quasi subito per problemi vari (visti, salute e conseguenti problemi con le scadenze burocratiche come spiegherò più avanti), ma poco male, perchè mi rituffo subito in un’altra soluzione per me affascinante: tornare a casa, in Toscana, via terra. Niente aerei, solo treni ed autobus. Da Astrakhan a Lucca, sono 4900 e rotti chilometri, sono una frontiera vera e una serie di frontiere Schengen da varcare. Partiamo dall’inizio.

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Astrakhan’ (Астрахань)

Parlavo nella premessa di una borsa di studio; era per l’Università Statale di Astrakhan’, a partire dal settembre 2008.
Arrivato il momento di partire scelgo una soluzione “classica”, o almeno questo è quanto credo: aereo da Praga per Mosca e da lì treno per il Caspio. Quanto credo appunto visto che quando dico di aver fatto la tratta in treno, vengo preso subito per pazzo. Peccato che molta gente lo consideri un mezzo di serie B, è quasi fondamentale per cercare di calarsi in una realtà nuova (certo serve tempo) e, dettaglio non da poco, inquina pochissimo. Chiusa parentesi.
E’ domenica mattina quando arrivo ad Astrakhan’, la “città degli Ashe liberi” o più romanticamente la città che il Khan edificò in memoria di sua figlia Astra morta per amore, e mi sembra di aver cambiato pianeta: fra la stazione e il campus dell’università solo casermoni sovietici ricolorati e decorati con i motivi più disparati per urlare al mondo che i tempi sono cambiati. O almeno che stanno cambiando. Per me catapultato in quella realtà sembra di essere in un film. O in uno di quei servizi che mandavano durante ricostruzione e trasparenza, perestrojka e glassnost’.

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Purtroppo non riesco nemmeno a partire con la vita Astrakhanese, tre giorni e vengo ricoverato all’ospedale delle malattie infettive. Diagnosi: meningite. Quel mal di testa e quell’influenza che seppur forte andava e veniva da un mesetto si era purtroppo rivelata essere una meningite virale. Non si muore, ok, ma mi sono trovato in un paese dove non conoscevo nessuno o quasi, di cui non parlavo la lingua a parte le frasi di circostanza, ricoverato in un ospedale d’altri tempi. Fatico ad immaginare quando siano stati fatti gli ultimi lavori di ammodernamento.
Fuori dall’ospedale. Finalmente. La vita riprende anche se bisogna recuperare il tempo perso a lezione e quindi, come anticipato nella premessa il desiderato viaggio lungo la Via della Seta si trasforma in quello che da il via a questo reportage, dal Caspio al Tirreno, via Baltico, da una parte e dall’altra del nuovo confine dell’Unione Europea.
Rientrato in città, fra i “sani”, mi concentro soprattutto sulla vita universitaria, la necessità di recuperare il tempo perso è purtroppo la priorità anche se ovviamente, straniero in terra straniera, l’aiuto ad integrarsi dato dal partecipare alle lezioni coi ragazzi del posto è enorme.

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Come enorme è l’esperienza data dal vivere nel campus con ragazzi che sarebbe stato difficile incontrare altrove, e attraverso loro conoscere un pochino, assaggiare paesi lontani (più nella mente che geograficamente)…iraniani, tagichi, guineani, ragazzi del Chad, del Vietnam e dello Zimbabwe oltre a realtà più “vicine”, Cina, Marocco ed Egitto (il vicino di cui parlo è sempre una sensazione mentale e quindi soggettiva, per esperienze, formazione ecc mi è più lontanao il Chad rispetto alla Cina).
Nei ritagli di tempo che l’università lascia continuo la scoperta del nuovo contesto dove mi sono catapultato, guidato spesso dai ragazzi dell’università, e inizio a vedere una cosa nella mentalità locale che non mi piace troppo, e che alla lunga diventa un gatto che si morde la coda: i ricchi, e si tratta di gente veramente ricca, si sentono cittadini migliori dei poveri, la discriminazione sociale è veramente forte come non avevo mai visto prima, forse perchè come mai prima è evidente, percettibile. Salta sicuramente all’occhio un Cayenne che sfreccia suonando il clacson alle decine di vecchie Lada che non lasciano passare.

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I miei amici russi, quei 4 o 5 con cui ho avuto il piacere di legare di più mi confermano i miei sospetti e mi dicono che nelle città periferiche come può essere Astrakhan’ la discriminazione sociale è pure accentuata rispetto a realtà più “occidentali”, una su tutte S. Pietroburgo. La cosa non convince del tutto neppure loro e il desiderio di andare lontano da Astrakhan, bella ed ingiusta, è forte in quasi tutti loro.
Amici russi dicevo…una delle cose fantastiche di Astrakhan’ è la sua multiculturalità, le tre persone con cui ho legato di più sono si russi ma di nazionalità diverse: un lettone (conosciuto tramite l’internazionale passione per il rugby), una kazaka, una tartara (entrambe compagne di scuola).
Girando per le strade, per i mercati e fra le izbe si incontrano tanti occhi a mandorla quante chiome bionde, frutto di anni di forte migrazione interna (non solo in periodo sovietico) e più in generale della storia di una città fatta di russi e tartari, calmucchi e persiani, kazaki, armeni e un’altra infinità di etnie che sono andate e venute da e verso Astrakhan almeno dal XV secolo.

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Mercati e izbe….le izbe rappresentano ancora una parte considerevole della città, interi quartieri, soprattutto periferici, sembrano usciti da un film di Tim Burton, o dalla matita di Miyazaki: interi isolati in legno, la chiesa vicina in muratura e qua e là le tubature del gas a cielo aperto e malamente isolate…al mercato si fa una parte importante degli acquisti e il passaggio frettoloso da un sistema economico all’altro rende il tutto più paradossale: dietro ai furgoni di gente venuta dalle campagne per vendere i propri prodotti, dietro ai banchetti colmi di pesce essiccato e salumi locali fa capolino la scritta, rossa su bianco, “Магнит” , Magnit, la più grande catena di supermercati della zona se si esclude il Lenta (una catena di ipermercati che si trova in gran parte delle città russe e dove si trova veramente tutto, dagli pneumatici alle olive greche, dagli accessori per pc al sake).

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Discorso apparte il Gourmet Michajlovskij. Considerato costoso dai più, è uno dei simboli per me più forti della forbice sociale della città sul Volga: ha prezzi molto sopra la media locale, spesso ingiustificati in quanto si tratta dei medesimi prodotti della stessa marca ma è visto come “in”, proprio perchè frequentato per lo più da ricchi (e da queste parti sono davvero ricchi) o da quel manipolo di lavoratori occidentali che cerca magari qualche prodotto che non si trova altrove.
Spostarsi da un luogo all’altro, fra mercati ed izbe appunto, è fondamentale per provare a conoscere ed apprezzare un luogo. Farlo ad Astrakhan con i mezzi pubblici può essere difficoltoso se non si conosce la città ma soprattutto per la lingua. Ci sono si autobus classici, economici, ma che non passano molto spesso e sono molto lenti.
Ci sono anche taxi, con i quali di solito si contratta il prezzo prima ma con i quali ho più volte litigato durante la contrattazione.
Il mezzo più diffuso sono però le marsrutke, o taxi collettivi per dirla con un termine “nostro”. Si tratta di minibus, da 10 o 12 posti ed è con questi che viene fuori il problema della lingua e del non conoscere la città, come sperimentato durante le prime lezioni fuori dal campus, mercoledì e sabato mattina: ogni masrutka ha un numero, come gli autobus, e fa un percorso stabilito. Solo che apparte poche grosse fermate ferma solo a comando, quindi è obbligatorio sapere bene dove ci si vuole fermare. Inoltre ha un’altra particolarità: la gente, soprattutto quando la vettura è piena si passa i soldi, indicando fino a dove arriva (usciti dal centro, per le destinazioni più lontane, la tariffa sale). Si capisce bene che se non si hanno almeno i rudimenti della lingua russa può essere abbastanza difficile da digerire come sistema.

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Nonostante non sia mio interesse scrivere una guida turistica, impossibile non parlare del Cremlino. Un sabato pomeriggio ho assistito a una messa della chiesa ortodossa, pur non capendo quasi niente, il rito ha una forza incredibile, mi sono estraniato (anzi ci siamo perchè ero in compagnia di due amiche, una italiana e una russa) per le due ore della funzione, dal mondo esterno, circondato da donne con la testa coperta che fanno riverenza ad ogni cenno del sacerdote, circondato da una moltitudine di monaci che cospargono di incenso le varie icone, circondato dai suoni dello slavo ecclesiastico che da soli stimolano come una forza interiore, un qualcosa difficile da spiegare.
Uscito dalla chiesa e continuando il giro diventa obbligato parlare anche del centro della città costruito intorno al Cremlino stesso, dove spunta anche il palazzo, modernissimo, della Gazprom, simbolo o quasi dei nostri tempi. O impossibile non parlare del Lungovolga e della passeggiata lungo il corso d’acqua lungo il quale è cresciuta la città.

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Affascinante più per il suo significato che per altro, il percorso magari innevato che dalla statua dello zar Pietro I,sul Lungovolga nella zona più lussuosa del centro, porta fino a piazza Lenin, ripercorrendo simbolicamente le grandi tappe della storia russa. Ai confini della Russia. Perchè checchè se ne dica Astrakhan’ è una terra di confine. Il Volga è una via di comunicazione fra l’Europa e l’Asia, da qui si può navigare verso l’Iran, ci si trova a pochi km dal Kazakhstan. Nonostante ne politicamente ne fisicamente ne il fiume ne la città rappresentino un confine è qui, o almeno questo è uno dei punti in cui la Russia incontra l’Asia in mille delle sue sfaccettature, l’Asia dei nomadi, delle steppe e l’Asia figlia di una cultura millenaria e raffinata come quella persiana.

Passano i mesi ad Astrakhan’ ed arriva così il 31 dicembre 2008, capodanno a casa di amici, unico, da ricordare (in positivo), così diverso dal 2007 finito in un locale di Riccione.
1 gennaio 2009, data simbolica, primo giorno dell’anno, inizia il viaggio. Verso nord, verso Volgograd. I primi km di quei 4900 e rotti che mi separano da casa.

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