Apre a Venezia T-Fondaco. Ma intanto Venezia muore.

Come è giusto che sia, in questi giorni a Venezia non si parla che dell’inaugurazione del nuovo Fontego dei Tedeschi, rinominato in “T-Fondaco” (T per Traveller, ma che già diversi siti hanno pensato fosse per T-Turisti). Dopo 7 anni di proclami, ricorsi, proteste, archistar, designer e quant’altro, uno dei progetti più chiacchierati di Venezia ha finalmente aperto i battenti.

Un tempo il Fondaco, che durante la Serenissima era luogo di commercio, è stato poi trasformato all’epoca del Duce in un più triste palazzo delle Poste e Telecomunicazioni. Come non ricordare gli sportelli al piano terra, o quelli delle raccomandate al piano superiore? Insomma, parliamo di uno spazio enorme nel cuore pulsante di Venezia, con vista sul Canal Grande a pochi passi (non figurati, ma reali) dal Ponte più famoso, ovvero quello di Rialto. Il Fondaco, acquisito dalla società immobiliare dei Benetton, è stato dato in gestione a DSF e trasformato in un grande megastore del Lusso.

Sui social, ovvero il bar sport 2.0, le polemiche, le fotografie dell’inaugurazione in questi giorni sono all’ordine del giorno, tra chi dice “chissene”, tra chi dice “xe beo” e tanti altri commenti, quelli più acidi forse sono quelli tra coloro che non sono stati invitati e non riescono a farsene una ragione.

Fondaco dei Tedeschi (Venice)

Venezia in questi ultimi decenni è stata snaturata profondamente, in primo luogo per quanto concerne il tessuto sociale, con uno svuotamento continuo e inarrestabile dei suoi abitanti, che sono stati sfrattati a calci per fare spazio ai turisti. Inizialmente diversi palazzi sono stati trasformati in alberghi e poi via via Bed&Breakfast e Airbnb in tutti i sestieri, dove un posto letto oramai ha incluso anche il suono del vecchio battitore di cassa. Tutto questo è successo davanti agli occhi dei nostri amministratori, Massimo Cacciari, Paolo Costa, Giorgio Orsoni e ora anche Luigi Brugnaro. La forza del contante batte 10-0 la democrazia e il volere popolare e non c’è proprio nulla da fare: siamo stati governati male, anzi malissimo: nessuno di loro aveva una visione, ma chi più chi meno si è accontentato di gestire il quotidiano, cercando di limitare i danni: ma Venezia, proprio perché è una città diversa da tutte le altre, meritava di meglio.

Il problema nell’operazione Fondaco, non è tanto il fatto che ci stia ora un grande megastore, che guarda principalmente ai turisti e ben poco ai veneziani, (se non farli sognare per 15 minuti nella terrazza grazie ad una vista che toglie il fiato), quanto il fatto che la cessione di questo palazzo, di utilizzo pubblico sia stata di fatto permessa.

Fondaco dei Tedeschi

Quando si fa questa obiezione, i falchi del capitalismo, del liberalismo senza ma e senza se, alzano gli scudi con le loro dichiarazioni: “ma hai visto in che stato era quel palazzo, chi ci volevi mettere dentro, i centri sociali, oppure meglio un megastore che un albergo, chi tirava fuori sennò i soldi per il restauro”, e cose di questo genere, lette proprio in questi giorni sul bar sport 2.0, ovvero Facebook.

Il privato, se ha un progetto e le risorse è giusto che lo presenti, che faccia i propri interessi e se questi vanno a discapito della popolazione residente, poco importa, i soldi non hanno odore e non guardano in faccia a nessuno: tanto si sa che fanno gola a tutti, amministrazioni con voragini di bilancio comprese.

L’operazione Fondaco è proprio la cartina tornasole dello stato della nostra democrazia e del potere (pari a zero) che oggi hanno le amministrazioni: se qualcuno arriva con un pacco di soldi, che siano italiani, cinesi, svizzeri non ha importanza, possono fare tutto e il contrario di tutto (compreso ammorbidire la tanto rigida e solerte Sovrintendenza, che su questo restauro si è dimostrata assai benevola, mentre per tanti altri veneziani alle prese con i restauri delle proprie abitazioni, non è certo così lasca) e se il progetto non piace e qualcuno protesta, beh le lamentele si sciolgono sotto l’ombra dei bigliettoni, che agitati con cura, fanno vento e soffiano via le polemiche.

Molti hanno evidenziato lo stato di degrado nel quale è stato lasciato decadere il Fondaco dei Tedeschi e che quindi la cessione al privato di uno spazio pubblico, di fatto era l’unica strada percorribile. Fatto incontestabile che come si diceva è termometro della democrazia, in particolare dello stato di salute delle nostre istituzioni e di coloro che hanno avuto il mandato di rappresentarle: stiamo parlando di un paziente praticamente agonizzante.

Non è una esagerazione dire così: se il pubblico continua a cedere sotto i colpi degli assegni pezzi di città, poiché sommerso di debiti, non farà altro che tamponare, lasciando poi l’emorragia per l’amministratore successivo. È mai possibile che lo Stato, il Comune, la Regione non avessero modo di restaurare lo spazio, di dargli delle finalità pubbliche che guardassero prima al cittadino e poi agli interessi privati? Venezia ha tanti problemi, quello della residenzialità in primis. Ma non è l’unica cosa. Sempre di più servizi fondamentali, che rendono viva una città, stanno scomparendo giorno dopo giorno non tanto perché la gente non fa richiesta, ma perché a Venezia il residente è stato portato via dall’anonima sequestri e sostituito con i turisti.

Nella situazione attuale quindi, fare un megastore del lusso nel cuore di Venezia è una operazione ineccepibile, perché si rivolge ai veri abitanti di questa città, loro i 20, 30 (un numero preciso non si riesce ancora ad avere) milioni di visitatori che ogni anno varcano il ponte della Libertà o sbarcano in città. Se rivogliamo le vecchie botteghe di una volta, non c’è altra strada che ripopolare la città di veneziani: che siano italiani o meno non ha importanza, per non morire serve che si torni ad abitare nel centro storico, non un mese all’anno, magari per qualche biennale, ma in modo continuativo. Vogliamo salvare la città? Vogliamo evitare di vedere altre operazioni come quelle del Fondaco? Venezia torni ai Veneziani, si faccia un progetto serio di social housing, si vadano ad aprire le porte delle case popolari disabitate, si cerchino risorse per far tornare Venezia, non quella ai tempi della Serenissima, che sarebbe alquanto anacronistico, ma almeno a quella che aveva 100.000 abitanti residenti. Non cediamo alla rassegnazione e neppure alla protesta fine a se stessa.

Serve agire, prima che Venezia affondi sul serio e a quei quattro testardi rimasti a vivere in città toccherà scappare a bordo di una grande nave.

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