Brooklyn: la nostra recensione

Brooklyn di JOHN CROWLEY
Il Nuovo Continente ha sempre attratto milioni di migranti da ogni parte del mondo. Specialmente nel corso del XX secolo, un numero significante di europei salpò dal Vecchio Continente per approdare sulle coste americane, con l’intenzione di dare una svolta radicale alla propria vita.

Magnifica e raffinata trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Colm Tóibín, “Brooklyn” è il racconto di quella generazione di irlandesi che a cavallo degli anni ’50 si lasciò alle spalle l’“isola smeralda”, in cerca di fortuna e nuove esperienze esistenziali, affascinati ed incuriositi dal “sogno americano”.

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Addentrandoci nelle vicende di Eilis Lacey, giovane ragazza originaria della piccola cittadina di Enniscorthy, veniamo gradualmente a contatto con il contesto storico-geografico di un’Irlanda tradizionalista e conservatrice, famigliare e rurale, tramite un’atmosfera ben ricostruita di ambienti, paesaggi, colori e personaggi.

Eilis è la più giovane di una coppia di sorelle che conducono un’esistenza semplice, senza pretese, assieme alla madre, rimasta vedova. Alla mancanza di veri amici con cui condividere quella che dovrebbe essere la spensieratezza della giovane età, si somma una condizione lavorativa inappagante alle dipendenze dell’arcigna e vecchia zitella padrona dell’emporio cittadino. L’incapacità dunque di vivere serenamente il proprio presente e la conseguente rassegnazione sono motivo di apatia e sofferenza.

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A salvare la protagonista da questa situazione iniziale, entra in gioco l’amata sorella, la quale intercede segretamente presso un convitto femminile per giovani emigrate in America, stabilendo così il contatto iniziale che permetterà a Eilis di salpare oltreoceano.

Dopo un primo sconforto iniziale dovuto al repentino cambiamento e alla lontananza dalle proprie radici e dai propri affetti, la vita di Eilis sembra finalmente prendere la svolta giusta. New York è la città cosmopolita per eccellenza e alla giovane non sarà dunque difficile trovare il proprio posto all’interno di questa nuova società in fervente e continua trasformazione.

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Grazie ad un’abile intreccio artistico di fotografia, scenografia e costumi, lo spettatore è “viaggiatore” al tempo stesso, trasportato da un continente all’altro, dagli sconfinati paesaggi irlandesi alle affollate strade newyorkesi, dal nostalgico emporio di paese alla raffinata boutique della “Grande Mela”, dalla comoda e sobria tenuta da picnic sul prato agli eccentrici e colorati occhiali da sole in bachelite dei bagnanti di Coney Island.

A seguito d’un evento improvviso la ragazza è costretta a rientrare seppur temporaneamente in Irlanda, dove ad un primo impulso di estraneità nei confronti del suo luogo d’origine, si sostituisce un inedito sentimento che risveglia in lei il senso delle proprie radici, travolgendo nuovamente l’equilibrio conquistato e risvegliando in lei un nuovo grande quesito: “A quale luogo realmente appartengo?”

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Soltanto quando Eilis riuscirà a fare luce sui suoi sentimenti e a dare quindi senso pieno alla sua esistenza, comprenderà finalmente la sua vera appartenenza.

“La casa è dove si trova il cuore” (cit. Plinio il Vecchio)

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