Razzismo. L’omicidio di Emmanuel, il linciaggio di San Donà e i complici.

Martedì 5 luglio 2016. A Fermo, nelle Marche, il nigeriano Emmanuel Chidi Namdi incontra in via Veneto i suoi assassini xenofobi. In Veneto intanto il vice presidente leghista della Regione, Gianluca Forcolin, spiana la strada, via Facebook, ad uno dei più cruenti linciaggi social che si possano immaginare. Decine di persone invocano la morte cruenta per un ragazzo immigrato, reo di essersi immerso nella vasca-fontana della principale piazza di San Donà di Piave.

D’altra parte, come Forcolin ha avuto cura di annotare nel suo post corredato dalla fotografia dell’ammollo, è “sconcertante vedere certe immagini che ritraggono Piazza Indipendenza con gli extracomunitari che fanno il bagno lungo il corso d’acqua in totale pace e disinvoltura. Davanti al monumento di Giannino Ancillotto in barba a regolamenti, buon costume e civiltà…”. Un monumento sacro, ci mancherebbe: inaugurato il 15 novembre 1931 alla presenza del ministro Italo Balbo e del segretario del Partito Nazionale Fascista, Giovanni Giuriati, questo monumento onora un fuoriclasse dell’aviazione da caccia, meritevole di aver realizzato ben 11 abbattimenti durante la prima guerra mondiale.

La caccia all’immigrato pare più che giustificata, in nome del decoro e della civiltà. Ed in effetti, nelle stesse ore in cui Emmanuel Chidi Namdi veniva abbattuto e spedito in coma, il profilo Facebook di Gianluca Forcolin andava talmente in fibrillazione civile che era impossibile fermare la fiumana di tecniche di soppressione di quello che il sindaco di San Donà, Andrea Cereser, aveva intanto precisato trattarsi di minorenne. Chi se ne frega: pietre al collo, benzina, ruspe. Il tutto condito da richiami ai cari, vecchi rastrellamenti e da belle immagini di Benito Mussolini.

Forcolin ad un certo punto, per cercare di uscire dalla stessa fogna che ha creato, se ne lava le mani. Il post se lo tiene stretto, in bella mostra, compresa la foto dello scandalo. Però… “invito gli amici di fb a non commentare con frasi razziste e di cattivo gusto”. Con l’aggravante che dopo aver ricordato che “l’integrazione parte anche da queste piccole regole del viver civile: non ho mai visto un sandonatese a bagno maria in Piazza Indipendenza. Se queste sono le risorse, come le chiama la sinistra, credo che di strada se ne debba fare ancora molta”, se ne esce con la precisazione fatale: “il mio è stato un pensiero del tutto personale e fuori da ogni riferimento politico e istituzionale”. Troppo comodo ed ipocrita.

Il 6 luglio Emmanuel Chidi Namdi muore dopo una vita di guerre, di violenze che gli hanno fatto perdere due figli, di fuga dal terrore e di umiliazioni infinite. L’ultima, quella fatale alla quale ha cercato di ribellarsi, ai danni della moglie, appellata in modo premeditato ‘scimmia africana’ da chi subito dopo lo ha assassinato.

La tragedia di Fermo e la vicenda di San Donà di Piave sono profondamente legate tra loro. La prima è la concretizzazione tragica di un allevamento culturale diffuso, che trova nel Veneto complicità e terreno molto fertile per la crescita di eserciti violenti e xenofobi.

I politici alla Forcolin, che usano a piene mani gli immigrati per la loro propaganda, ne sono pienamente responsabili: è il loro ruolo istituzionale ad inchiodarli alla responsabilità. Quando le parole sono pubbliche non può esistere per loro l’alibi delle affermazioni personali, perché ogni loro parola pubblica contiene valenza, rilievo sociale e politico. Ospitare e non porre fine, come ha fatto Forcolin, a quel linciaggio web, equivale ad innaffiare il terreno dell’odio razziale. Lo stesso dal quale spuntano gli assassini di Emmanuel.

Analogamente, va tolto ogni alibi e va aperta una lotta durissima contro chi vomita parole criminali e viene benevolmente definito ‘leone da tastiera’. Perché tra questi leoni c’è sicuramente chi, prima o poi, saprà dare sostanza a quelle parole che continuano a navigare pubblicamente e che danno coraggio e benzina alla voglia di fare i giustizieri contro ‘scimmie’, ‘negri’ e ‘zingari’.

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In questo senso anche il mondo dell’informazione ha una responsabilità enorme.
Le testate web che ospitano, attraverso i siti e i profili social, chilometri di linciaggi su ogni notizia riguardante le persone immigrate, devono mettere fine a queste mattanze destinate, nel tempo, a diventare sempre meno virtuali. O decidono di moderare i ‘dibattiti’ cancellando i delinquenti che incitano al crimine, oppure chiudano direttamente gli spazi per i commenti, analogamente a quanto ha deciso di fare in Friuli il Messaggero Veneto.

Altrimenti, così come vale per le speculazioni politiche, anche gli interessi commerciali legati alle cliccate e alle visite sul web, finiranno per diventare i migliori complici della xenofobia, dell’odio e di belve, come quelle che hanno ucciso Emmanuel, in via Veneto.

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