Recensione: First Man di Damien Chazelle

Squadra che vince non si cambia: torna l’accoppiata Chazelle + Gosling. First Man è una storia a metà tra verismo e sci-fi.
Dalle prime immagini siamo annegati nel suono: senza coordinate geografiche, siamo persi in un ambiente claustrofobico del quale non sappiamo nulla. Dai primi secondi appare chiaro che il giovane regista franco-canadese ha deciso di raccontare una storia nota in modo inaspettato.
First Man ci racconta l’atterraggio sulla luna e dei momenti che precedono il noto successo a stelle e strisce. Ma come si racconta una storia famosa, senza ricadere nel cliché? Come si fa ad allontanarsi dal rischio di creare una narrazione favolistica o celebrativa? Attraverso le minuzie. Infatti la storia si fa forte delle cose infinitesimali, si regge sullo sguardo di chi ha a che fare con qualcosa di molto più grande di sé, nel lavoro come nel privato.
chazelle
La narrazione passa attraverso lo sguardo di un uomo schivo, di poche parole, spesso incapace di esprimere le proprie emozioni: la vita gli sfugge proprio nei momenti salienti, di cui non cogliamo che istanti. Il Neil Armstrong interpretato da Ryan Gosling ci appare estremamente umano. L’attore ci racconta della preparazione della parte, della lettura del testo di James R. Hansen – lo stesso che ha ispirato la sceneggiatura di Josh Singer – e delle lunghe chiacchierate con la famiglia dell’astronauta.
Così come la vita privata e quella lavorativa del protagonista sembrano incapaci di incontrarsi, così avviene nel sound che sembra sottolineare i due universi separati. Il mondo terreno e la vita domestica, sorretta dall’impeccabile recitazione di Claire Foy nei panni della signora Armstrong (Janet Shearon), sono contraddistinti da sonorità armoniche: emergono tra tutte le note all’arpa. Lo spazio è immerso in un fitto layering sonoro, à la Dunkirk, nel quale il “rumore” diventa protagonista; i due universi si incontrano in un unico frangente nel quale la vita della casalinga viene assalita dalla presenza dei paparazzi, proprio durante una delle missioni del marito, l’intreccio sonoro dei due universi dà vita ad un momento visivamente intensi.
Tra gli elementi visuali che collaborano a rendere il film partecipativo ci sono sicuramente soggettive e camera a mano; colpisce il gusto per i dettagli: penso al riflesso degli astronauti sull’ascensore per accedere al razzo, un’immagine che in un frangente riesce a far immedesimare lo spettatore, diventando emblema del focus sul punto di vista degli astronauti.
Il film di Chazelle riesce a scampare dal pericolo di fornire una narrazione stereotipata, senza dimenticarne gli oppositori e soprattutto le perdite, il tutto in un equilibrio però sfuggente.


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