VENEZIA – Dal Nostro inviato Alice D’Este
Le riconosci (su facebook) perché tra il nome e il cognome, palesemente italiani hanno inserito il loro nome da musulmane.
Incontrandole, invece, il tratto distintivo al primo sguardo è il velo. Anche se non tutte lo portano sempre.
Le donne italiane convertite all’islam sono tante. E la loro non è una vita facile. Sono divise tra la cultura che hanno abbracciato per scelta e quella in cui sono cresciute. Ma che spesso però, dopo la «shahada», (la professione di fede in cui si dichiara che non esiste altro Dio al di fuori di Allah) le abbandona. Ci sono amici (pochi) che restano, altri (molti) che vanno. Famiglie che tolgono il saluto altre che fingono di non sapere, di non capire. E loro, donne prima e musulmane poi, si difendono. Ognuna col carattere che ha. Silvia e Gaia sono così. Una forte e l’altra mite. Una verbalmente (e non solo) bellicosa, l’altra schiva. Ma entrambe hanno cambiato la loro vita, dopo aver incontrato la religione.

E Gaia, 27 anni, convertita da due, è la prima a confermarlo. «Il velo? No, io al lavoro non lo metto – dice – non potrei, mi licenzierebbero».
Dove lavora Gaia c’è un look preciso da rispettare: vestiti neri, capelli raccolti, un filo di trucco. «Che posso farci? – dice lei con gli occhi blu che risaltano incorniciati dal velo – è così. Molti amici non considerano reale nemmeno il mio matrimonio». Anche Gaia è sposata, secondo la religione musulmana. Ma non secondo le leggi italiane. Secondo i suoi genitori convive, secondo alcuni amici ha un ragazzo.
«Viviamo una distonia – dice Gaia – tra quello che sentiamo e quello che viene riconosciuto e accettato». Forse. Ma anche Silvia e Gaia sono diverse tra loro. Anche per loro non c’è una sola lettura della realtà. Gaia fatica a portare il velo non solo al lavoro, anche per strada. «Non riesco ancora a reggere gli sguardi di disapprovazione – dice – in realtà non me la sento». «Ci vuole tempo – dice Silvia – anche io ho fatto un percorso lungo ma fa parte dei precetti». Loro due chiacchierano. Arriva T., il figlio di Silvia. Ha sette anni e si annoia ad aspettarle.
«Stai attento a tua sorella – dice Silvia – se cade e si fa male mi sa che è meglio che ti arrampichi sullo scivolo e non scendi più».
Lui ride, e corre dalla piccola. Musulmane o no le mamme sono tutte uguali.
Fotografie di Alice D’Este









