Ghea podemo far… west. Il vero anti-Brugnaro è il degrado.

Chi di degrado ferisce, di degrado perisce.
A soli 13 mesi da un’elezione vinta in buona parte grazie alle promesse fatte sul fronte della sicurezza, Luigi Brugnaro si ritrova a gestire lo stesso tsunami che ha creato in campagna elettorale, soffiando forte sul mare dei cittadini che reclamavano il pugno duro contro spacciatori, puttane, papponi, negri, albanesi, tunisini, rumeni, bengalesi, cinesi, musulmani, nigeriane, barbanera, vagabondi, drogati, picchiatori, accoltellatori, sparatori, alcolizzati, pisciatori, frequentatori puzzolenti e molesti di panchine del centro città.

Meno di 13 mesi fa l’affresco di Mestre riproduceva Caracas e Brugnaro si era disegnato sicurezza Brugnarocome lo sceriffo ideale per trasformare la città in un giardino d’infanzia sotto un cielo fucsia. Nel suo programma elettorale spiccavano queste parole: “Vogliamo una città in cui tutti i cittadini si sentano sicuri nelle proprie case, nel proprio quartiere, lungo le vie e in tutti i luoghi pubblici. Oggi non è così”.

Oggi, luglio 2016, non è così. E oltre al senso di abbandono che monta in città, lo stesso Brugnaro si ritrova ad essere abbandonato da chi fino ad oggi è stato disposto a concedergli il giusto tempo per cambiare minimamente le cose che lui stesso raccontava. Il controcanto alle Operazioni Verità che Brugnaro amava sbandierare contro la ‘stampa ostile’, oggi glielo fa anche il principale quotidiano della città. Perché una testata può essere filo-governativa finché si vuole, ma quando l’onda della protesta, delle denunce e degli episodi comincia ad ingrossarsi non c’è propaganda politica in grado di reggere sul piano della credibilità.

Via Piave MestreE così, Il Gazzettino che decide di sparare in prima pagina del fascicolo locale lo sfogo di un parroco di via Piave che denuncia un territorio in pieno abbandono, è uno di quei segnali che fanno capire che per Luigi Brugnaro la luna di miele con la città è abbondantemente finita. Il fatto che a firmare quell’articolo sia il giornalista di stampo curiale che gli ha fatto da addetto stampa nella campagna elettorale e nelle prime settimane da primo cittadino è solo la nemesi minore. Più eloquente la rottura di un ambiente, quello delle parrocchie, che da serbatoi di consenso diventano gradualmente punti di raccolta della protesta.

Più allarmante ancora, e non solo per Brugnaro, il fatto che sia Mestre l’epicentro di una lunga sequela di episodi delinquenziali raccontati dalla cronaca e caricati con una litania di invocazioni al sindaco a fare qualcosa per sentirsi appunto ‘…sicuri nelle proprie case, nel proprio quartiere, lungo le vie e in tutti i luoghi pubblici…’.

Se infatti l’ostilità dei veneziani nei confronti del sindaco foresto è fisiologica e il malessere per il degrado si lega in massima parte all’invasione turistica, alla salvaguardia e alla perdita identitaria, la delusione rabbiosa di chi vive a Mestre percependosi come un venezuelano da sobborgo è un fendente profondo nei confronti di un sindaco che per la prima volta ha rotto la dominanza amministrativa veneziano-centrica, spostando decisamente l’asse in terraferma, dove si concentra il 75% degli abitanti di questo Comune e logicamente la maggioranza degli elettori.

Brugnaro ha vinto una battaglia elettorale millantando armi che non aveva in mano. Ed oggi si ritrova ad affrontare una guerra con un esercito composto dall’infallibile cane antidroga Kuma e da qualche manipolo di vigili urbani che in realtà dovevano essere centinaia, scaraventati dalle scrivanie alle strade. Non solo Brugnaro ha sparato le sue cartucce contro la precedente amministrazione, individuata come colpevole dei mancati presidi territoriali, ma strada facendo ha accelerato lo smantellamento di ogni presidio sociale, in termini di mediatori ed operatori, che svolgevano un ruolo di primo argine, seppur non sufficiente, al dilagare dell’insicurezza.

La sua patina di uomo forte, capace di ripulire la città e di rivoltarla come un calzino a colpi di ordinanze, panchine abbattute, vigilanza H24, tolleranza zero, varchi elettronici e squadre di ispettori, si è infranta in modo piagnucoloso. Il suo lamento per la mancanza di brugnaro degradointerventi da parte dello Stato e per l’impossibilità di assumere poteri forti, è la conferma di un inganno che è stato elettoralmente molto fruttuoso ma che, per lo stesso motivo, si sta rivelando un boomerang. Perché quando un amministratore prima fa da megafono all’insicurezza, poi alza il tiro delle promesse e infine crea aspettative che vanno oltre le proprie possibilità, è giusto che paghi il conto salato della delusione e della rabbia cittadina. Sul fronte della sicurezza e del degrado, oggi Brugnaro è un uomo debole. E’ in questo senso che l’insicurezza ed il degrado, reale o percepito che sia, hanno assunto il ruolo di vera opposizione alla sua azione.

L’anti-Brugnaro, inteso come esponente politico in grado di incarnare l’alternativa al sindaco, ancora non esiste. A distanza di oltre un anno dalla sconfitta del 2015, il PD e il centrosinistra proseguono nella loro strategia anarchica, fatta di voci singole, anche dotate di buona volontà, ma che viaggiano su strade battagliere che sono perlopiù solitarie oppure non più credibili, mai calate e mai sostenute da un progetto politico complessivo. Specchio di un partito e di un area politica che continua a dilaniarsi, condannandosi così a non trovare un leader locale autorevole, attorno al quale compattarsi per ricostruire una nuova stagione amministrativa. Uno sforzo questo, che tutto sommato non è al momento richiesto ai 5 Stelle, almeno fino a quando il marchio sarà vincente al di là dei progetti locali e delle persone. Ma il vento del consenso, si sa, ormai cambia continuamente e repentinamente di direzione.

Al momento la cosa più facile da pensare è che, se dovrà esserci un dopo-Brugnaro, il testimone verrà raccolto da chi saprà soffiare meglio sulla rabbia nei confronti di chi ha giocato a fare lo sceriffo e si ritrova a lottare nel far west con la pistola già scarica.

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