Il Ponte delle Spie

All’inizio degli anni ’60 l’Europa è ancora profondamente segnata dai lasciti della Seconda Guerra Mondiale. La tensione della cosiddetta Guerra Fredda culmina nell’edificazione del Muro a Berlino, linea di confine tra la zona di influenza americana e quella sovietica. Tale avvenimento è il simbolo dell’assurda contrapposizione ideologica tra le due grandi fazioni alleate nel trascorso conflitto internazionale. Sebbene non si arrivò mai ad un vero e proprio conflitto militare diretto, si assistette ad una guerra “celata” tra agenti spia, infiltrati dalle corrispettive nazioni al fine di carpire i segreti di nuove tecnologie sperimentali ed intenzioni tattico-logistiche.

In questo contesto si articola l’intricata vicenda oggetto della sceneggiatura. Tratto da fatti realmente accaduti, “Bridge of Spies” narra la storia di James Donovan, legale assicurativo di una rispettabile e rinomata agenzia di Brooklyn suggerito al governo statunitense quale avvocato indipendente a prestare difesa all’imputato Rudolf Abel, spia sovietica intercettata ed arrestata. Combattuto tra l’impopolarità che il ruolo ricoperto potrebbe arrecare a lui e famiglia, ed un profondo senso civico di uguaglianza e democrazia, Donovan si troverà coinvolto presto in molto più di un semplice processo giudiziario; su richiesta del presidente stesso, sarà infatti incaricato di portare a termine un’impresa delicata della massima importanza: negoziare il rilascio del pilota statunitense Francis Gary Powers, arrestato in Russia, in cambio di Abel. Una trama molto complessa in apertura, che nel suo evolversi si intrica su se stessa e si infittisce di colpi di scena.

Gli “ingredienti” cinematografici citati in antitesi, ricorrenti in molteplici film del genere, di per sé non assicurerebbero affatto la riuscita di un prodotto che possa discostarsi ed emergere dal già folto mucchio, ma nelle mani di Maestri del Cinema quali i fratelli Coen, autori della sceneggiatura, e di Spielberg, regista, si fondono in una “pellicola” internazionale di alta qualità, degna di essere ricordata per la sua raffinata cronaca, la ricca ricerca introspettiva dei personaggi e per l’articolata narrazione.

L’atmosfera ricreata minuziosamente nelle scene ci trasporta negli anni bui della Guerra Fredda, facendoci rivivere in prima persona dall’America riformista degli anni Sessanta, all’Europa delle trasform azioni post-bell iche. Bridge of Spies spicca per l’el eganza dell’immagine, frutto di un riuscito connubio tra Scenografia e Fotografia. Colori e luci si fondono sapientemente per donarci puro piacere visivo.

Un insieme ben orchestrato insomma, che dal primo minuto fino all’ultimo, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore, soddisfando abbondantemente le già alte aspettative.

Tom Hanks, nei panni del protagonista, riveste qui magistralmente uno dei suoi ruoli più riusciti, dando immagine e voce ad un grande “eroe” della modernità, simbolo di inamovibile senso civico, di uguaglianza e di democrazia, valori sui quali si fondano (o meglio dovrebbero) le costituzioni del moderno Occidente.

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