KennyRandom @ SpazioTindaci

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Di Ian Aaron Davidson inviato da Padova, Italy

La storia del caso è forse infinitamente declinabile. Tommaso, commentando Aristotele e denigrando Empedocle, arrivò a dire che le cose quasi mai accadono per caso (“quae autem sunt a casu sine causa determinata non sunt ut in pluribus, sed ut in paucioribus“). Hegel, Ferguson e Wundt preferirono lodare molteplicemente l’eterogenesi dei fini. Le matematiche recenti cercano di incorporarlo.

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Il caso (quello stesso caso che non manca mai di suscitare stupore ed ammirazione) impilato su una serie di eventi convergenti, mi ha portato a conoscere Kennyrandom. Mi perdo spesso per le le strade della mia stessa città, e codesta volta non faceva eccezione. Stavo cercando la via di casa, quando sono incorso in un’ingiustificata folla; uno sguardo superficiale ha colto uno spazio espositivo futuristico, cocktail e depliant patinati. Uno più attento, invece, dei personaggi graffiteschi in cornici barocche.

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Mi ci sono voluti dei secondi per realizzare con stupore che quegli stessi graffiti che stavano esposti allo sguardo ammirato dei soliti occhialuti intellettualoidi vitaminici cardigan-vestiti, erano gli stessi che avevo visto un po’ dapperttutto in giro per la città.

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Com’è forse noto, non sono esattamente un appassionato di arte contemporanea. Ad essere sinceri ne detesto grossa parte; tuttavia, non ho intenzione di fare qui l’apologia dell’accademismo o simili. Il problema estetico nell’arte novencentesca e post-avanguardista è già stato analizzato fino nei minimi termini e la discussione mi interessa ormai meno della loro verità. Kennyrandom è un artista contemporaneo, “molto presente sul territorio“, mi spiega Diletta Biondani, curatrice della mostra. “Abbiamo già ospitato due mostre di Kennyrandom qui presso SpazioTindaci, e oggi siamo addrittura arrivati a due esposizioni contemporanee“.

In effetti l’installazione è divisa in due parti: Selfdistruction in gold frames“, che prende posto nella sala principale, rappresenta dei soggetti (una congiunzione di Modigliani e botox) sempre uguali, ma con sfondi diversi. “Kenny danneggia volontariamente e vandalizza con lo spray e le graffiature i suoi personaggi. Poi impreziosisce l’opera con una cornice barocca. I suoi personaggi vogliono raccontare una storia, sembrano illuminati come se fossero in un teatro e la loro consunzione rappresenta l’effetto del tempo sulle cose e sulla nostra pelle.

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The Random’s butterflies“, invece, è la parte che trovato interessante. Per qualche motivo sono sempre stato inspiegabilmente attratto dai colori, e questa insensata serie di farfalle colorate non ha perciò mancato di (bambinescamente) soddisfarmi. La brochure cita, un po’ stupefacentemente, Hirst, che “lavorò” sul tema delle farfalle; istintivamente questi lavori mi ricordano piuttosto di pseudoartisti tipo Bansky, Above e gli stencil-writers in generale, o (per altri versi) a certe parti della produzione di Warhol e Lichtenstein. “Per Kenny le farfalle rappresentano semplicemente uno degli esseri viventi più belli e perfetti che esistano. Vogliono essere macchie di colore che portano con sé pezzi di strada, città, vita e accompagnano in maniera accativante, gioiosa e piacevole la nostra quotidianità.

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Non sopporto la necessità di spiegazioni che la sedicente arte contemporanea richiede; in generale la trovo fuorviante e autoindulgente, e anche in questo caso le spiegazioni sul significato delle opere sono un po’ come il silicone nelle labbra di Valeria Marini: nel tentativo di strafare, rovinano tutto. Le farfalle di Kenny sono dei piacevoli studi di colore (evidentemente non ha mai letto Goethe o Schopenhauer, ma poco male), e al contrario di tante altre “opere” moderne non sono esteticamente orrende, e anzi sarebbero perfette per decorare un salotto o uno spazio minimal.
Come sempre, il problema è nelle pretese.

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