Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh

McDonagh presenta un film inaspettato, una dark commedy di dolore, denuncia e speranza, elementi contrastanti sapientemente dosati.
[dropcap]P[/dropcap]artiamo dalle conclusioni: Three Billboards Outside Ebbing , Missouri, appare fin da subito un capolavoro; ci si chiede se il suo regista l’irlandese Martin McDonagh se ne sia reso conto.
Utilizzando il linguaggio cinematografico lo spettatore ha la possibilità, in qualche misura, di arrivare a conoscere anche la personalità dell’autore e guardando il film, esso appare subito schietto, ruvido, privo di fronzoli e spontaneamente sagace senza pretese autoriali che però fioriscono naturalmente.

La sceneggiatura, sempre di Mc Donagh, risulta fin dal principio robusta; essa racconta la storia di Mildred Hayes (una McDormand da Oscar) madre di un’adolescente stuprata e uccisa ferocemente qualche mese prima; la polizia non sembra però dar troppa importanza al caso Hayes e Mildred cercherà per tutta la durata del film di ottenere giustizia, ad ogni costo.

L’idea che viene alla protagonista è bizzarra ma ottiene esattamente il risultato sperato, ossia che il caso della figlia venga ripreso e portato a termine trovando il colpevole dello stupro.

Mildred affitta così 3 giganteschi cartelloni pubblicitari sulla strada di Ebbing in Missouri in cui scriverà – su uno sfondo rosso sangue – il proprio messaggio di protesta e grido di rabbia rivolti al capo della Polizia, William Willoughby ( Woody Harrelson).
Stuprata mentre moriva” , “Ancora nessun arresto?” , “ Come mai chief Willoughby?” recitano ruvidamente i cartelloni.

L’azione di Mildred non rimane inosservata ed innesca una serie di reazioni a catena in un crescendo di violenza e brutalità davvero imponente senza tuttavia mancare di una sagace e schiettissima ironia, decisamente differente da quella a cui siamo abituati dai fratelli Coen con cui si potrebbe azzardare un’analogia.

Il finale è a sorpresa, non tanto riguardo l’ordito del racconto, quanto sul piano caratteriale dei personaggi che trovano uno spiraglio inatteso di umanità, compreso lo zotico e razzista poliziotto Dixon (Sam Rockwell).

Le tematiche affrontate nel film non sono una novità per Venezia 74 (pensiamo a Suburbicon di Clooney) e neppure la scelta di ambientare questo “noir- western” in terra statunitense; l’assoluta novità che entusiasma è bensì lo sguardo con cui McDonagh si affaccia ai topoi di violenza e razzismo senza svolazzi di presunzione autoriale o esplicitamente politici ma tratteggiando i caratteri in modo limpido e senza retorica.

“Avevo voglia di raccontare una storia con una protagonista molto forte, volevo una storia di rabbia ma anche di speranza, di tristezza, insomma un misto di elementi contrastanti e utilizzare tre dei più grandi attori del mondo” racconta l’autore che ha dimostrato – oltre al fatto di saperci fare con penna e macchina da presa (tanto da risultare uno degli autori più interessanti del nostro tempo) – che in questo mondo brutale l’essere risulta vincente sull’apparire, un messaggio che ci è davvero piaciuto. Una storia da non perdere.

 

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