DOVE VA L’ITALIA?

Foto di Copertina: Luca Loro di Motta – manifestazione elettorale di Fratelli D’Italia a Venezia

A una settimana dalle elezioni regionali in Italia del 31 maggio scorso, nonostante il Ministero dell’Interno non abbia ancora reso pubblici i numeri esatti degli aventi diritto al voto e dei votanti effettivi, e lo scrutinio di quattro regioni su sette non sia ancora stato completato (Veneto, Toscana e Campania), è comunque possibile analizzarne i risultati basandoci sulle percentuali disponibili.

“Numericamente è evidente che il Pd ha vinto – ha dichiarato trionfante il premier Renzi sabato a Genova – l’unica sinistra che in Europa ha ancora un risultato è la nostra”.

Questo è quanto sembrerebbe trapelare dalle pagine dei quotidiani e dalle televisioni, che riportano la vittoria del partito democratico in ben cinque regioni su sette. 
Tralasciando però un piccolo ma determinante particolare: se proviamo a sommare le percentuali delle singole regioni per ottenere delle indicazioni generiche sul voto in Italia, appare subito evidente come il primo partito non sia quello democratico, bensì quello degli astenuti, forte del suo 45,1% di non voti.

L’affluenza crolla drasticamente rispetto alle elezioni del 2010: la perdita netta è di dieci punti percentuali, chiaro indice dell’aumento irrefrenabile della sfiducia e del disinteresse da parte degli elettori rispetto all’elezione dei rappresentanti regionali.

Nel 2005 votò quasi il 72% degli aventi diritto. Praticamente vale a dire che dieci anni fa tre quarti di quelli che potevano farlo hanno espresso il proprio orientamento politico, legittimando in questa maniera l’esistenza delle regioni e dei loro rappresentanti, mentre ora solo uno su due lo ha voluto o potuto fare.

Esultare per un risultato totalmente decontestualizzato dalla realtà politica e sociale significa in qualche modo negare che gli elettori abbiano voluto dare un chiaro segnale rispetto agli scandali che negli ultimi anni hanno regolarmente investito le regioni, tra connivenze mafiose, corruzione, tangenti, arresti e indagini, dalla Sicilia alla Lombardia, nessuna esclusa. 
La maggior parte degli indagati è tesserato presso uno dei due principali partiti creati da un sistema elettorale tendente ad un forte bipolarismo scandito dalla regola della cosiddetta ‘alternanza democratica’.

Di qui il secondo punto, che appare evidente dai risultati della scorsa settimana: la Lega Nord, o più precisamente il partito di Salvini, ha ottenuto risultati obiettivamente alti e soddisfacenti in regioni che fino a qualche anno, se ricordo bene, non ce l’avevano mica tanto duro, come diceva Umbertone. 
In Toscana è il secondo partito, nelle Marche ha sfiorato il 15%. Se la memoria non mi inganna nessuna delle due faceva parte del delirante sogno di indipendenza delle camicie verdi. 
Ovviamente stravince in Veneto e Liguria, regioni letteralmente regalate dalla mancanza di alternative concrete.

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Foto: Giacomo Cosua. Matteo Salvini a Mestre

Vittoria a metà per l’onnipresente Matteo Cispadano e per i vichinghi delle pianure, da spartire con l’altro principale partito di opposizione presente nell’agone politico, il movimento cinque stelle.
 Anch’egli ormai quasi orfano di padre, a causa della presenza sempre meno frequente e ingombrante di Grillo, ha saputo emanciparsi dalla figura di un leader forte e a volte autoritario, come d’altronde ci si sarebbe aspettato da un partito che ha fatto bandiera della democrazia diretta e che, anche attraverso alcune gaffe e dimostrando a volte una scarsa preparazione ideologica e politica, è ormai maturo e stabile su posizioni condivise e trasversali come la legalità, la tutela ambientale, ma soprattutto sulla necessità di un rinnovamento della classe politica. 
Posizioni in parte condivise, anche se declinate in maniera differente, con la lega.

 Sul totale dei 52% dei votanti per le elezioni regionali, i voti raccolti da Lega Nord e M5S si aggirano intorno al 26%, rispettivamente col 9,1 e il 15,7. 
Possiamo considerare questi voti come voti di protesta, una chiara richiesta di legalità, di presenza dello Stato sul territorio e di controllo rispetto alla corruzione dilagante nella politica, che son stati poi i punti più toccati durante la campagna dei due partiti menzionati. 

Effettuiamo ora un rapido calcolo, per quanto i dati siano ancora provvisori.

Gli aventi diritto erano 18.899.064: di questi han votato 9.867.851.
Provando a sommare gli astenuti (9.031.213)  ai voti di protesta, ovvero quelli di M5S (1.327.425) e Lega Nord, Zaia presidente e vari indipendentisti del nord (1.248.967), otteniamo l’esorbitante cifra di 11.607.605 di persone che sembrano voler urlare che degli scandali riguardanti le regioni non ne possono davvero più. 
E questo calcolo non tiene conto di svariate liste minori che con Lega Nord e M5S condividono la necessità di una classe politica più ‘onesta’. 
(No, non abbiamo dimenticato Belsito e i diamanti, ma evidentemente gli elettori leghisti si sono ritenuti soddisfatti dalle promesse fatte dalla nuova gestione.)

Il Presidente del Consiglio è certamente informato di questi numeri, ma le sue dichiarazioni non bastano a nascondere una realtà politica che, nonostante la macchina mediatica del consenso sia ben oliata e in questi giorni funzioni a meraviglia, è ormai evidente. 
La realtà è che da queste elezioni regionali nessuno ne è uscito da vincitore e l’unico sconfitto è un sistema politico esangue, che implora riforme e rinnovamento. 

Esattamente una settimana prima, su Rai3, mi è sembrato di scorgere un volto noto delle cronache giudiziarie nazionali dal ’94 ad oggi.
Parlava di “rivoluzione liberale” mentre il ‘giornalista’ sedutogli di fronte annuiva concorde, gli occhi luccicanti di speranza per il futuro.

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Foto: Giacomo Cosua. Matteo Renzi a Ferrara nel 2014 per il Festival di Internazionale.
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